di Famiano Crucianelli, Presidente del Biodistretto della Via Amerina e delle Forre
La discussione che si è aperta a Civita sulla delicata questione Cave e Rifiuti è di grande rilievo, lo è sul terreno delle strategie generale, lo è per il comune di Civita e lo è per il territorio Agro – Falisco del quale Civita è luogo nevralgico.
Moltissimi in questi drammatici giorni di pandemia hanno ripetuto: “abbiamo capito la lezione, domani nulla sarà più come prima “. Ovvero la salute dei cittadini e dell’ambiente sono al primo posto, bisogna avere un’economia che sia orientata alla e dalla sostenibilità ambientale e sociale. Ora siamo alla prova del budino, alla prova della verità.
Le due questioni sul tavolo: ampliamento e recupero delle cave, trattamento dei rifiuti i sono due capitoli che possono ipotecare il futuro del nostro territorio. Non è un caso che nella legge 11/2019 sulla promozione dei Biodistretti vi sia un capoverso importante proprio su questa materia all’interno di una strategia “rifiuti zero”.
L’impatto ambientale deve essere il principio ispiratore. Primo problema: le cave. Esse sono obiettivamente una ferita del territorio, spesso come la storia c’insegna questa ferita, quando i parametri ambientali (acque, aria, paesaggio, vivibilità, infrastrutture…) non sono rispettati la ferita diventa infettiva e purulenta. Ma vi è un interrogativo che un ipotetico tavolo regionale e locale dovrebbe porsi prima di ogni cosa, quale è la realtà dell’industria estrattiva nel nostro territorio e in particolare nell’area di Civita Castellana? La famosa frase “non nel mio giardino” per noi non vale, perché nel giardino di casa nostra le cave di ogni tipo sono disseminate in tutto il territorio compresa Civita. Non è un caso che è forte la pressione dei proprietari di cave e di un certo mondo degli affari per riempire le cave con quei rifiuti chiamati “inerti”. Dopo il primo danno, un danno ancora più pericoloso.
La questione vera se si vuole tutelare e sviluppare diversamente il territorio non è quella di ampliare, aprire nuove cave o di riempirle con quei rifiuti chiamati inerti, bensì quella di sanare correttamente queste ferite del territorio. Di ciò un tavolo regionale, comunale con tutti gli interlocutori istituzionali e sociali dovrebbe discutere.
Seconda questione che non va confusa con la prima: il trattamento e il riciclo dei rifiuti. Problema di grande rilievo e sul quale abbiamo discusso più volte, anche nel nostro ultimo incontro fatto a Nepi e abbiamo valutato l’ipotesi di un riciclo “dell’organico” per produrre compost per concimare biologicamente ed energia per le nostre comunità, piccole aziende da organizzare nel territorio. Bisogna, però, essere chiari, perché siamo su un terreno molto scivoloso sul quale giustamente forte è la sensibilità e il sospetto dei cittadini. Vedo diverse condizioni perché si possa avere un confronto serio.
In primo luogo, quale è la situazione attuale e in quali condizioni e con quali vantaggi per le nostre comunità le aziende già presenti operano?
Secondo: noi parliamo di riciclo, ovvero di aziende che debbono essere il punto terminale di una raccolta differenziata fatta per bene e non di rifiuti generici che arrivano nel nostro territorio. Perché in questo caso è facile trasformare il territorio in una pattumiera.
Terzo: stiamo parlando di piccole aziende che operano nel territorio del biodistretto e nell’area della Tuscia funzionali alla nostra economia e si può quindi esercitare un controllo sull’intero processo.
Infine la questione decisiva. A chi fa capo questa attività che può avere un impatto importante sul benessere e sulla salute dei cittadini e dell’ambiente? E’ il pubblico, l’ente locale che deve essere il depositario di questo ipotetico bene e non l’interesse privato. Se i cittadini si ribellano quando sentono parlare di inceneritori, discariche e di rifiuti si ribellano non per una nevrosi collettiva, ma perché l’esperienza concreta ci dice che in questo settore si sono fatti misfatti e crimini ambientali, solo il pubblico come soggetto forte può essere la garanzia che non vi sia ciò che è stata la regola non scritta “privatizzazione dei guadagni e socializzazione dei danni”.
Nel nostro territorio vi sono splendide realtà economiche, aziende agricole esemplari, aziende biologiche che in questi mesi di pandemia hanno aumentato produzione e vendite, aziende nelle ceramiche che sono all’avanguardia nelle tecnologie e nell’economia circolare e un territorio ricco di natura e di storia. Questo è il mondo della produzione e più in generale dell’economia che deve ispirare il nostro futuro e le nostre scelte future.