Il Biodistretto soffre l’emergenza idrica

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REPORTAGE. Nei tredici Comuni del viterbese impegnati a costruire un futuro biologico nel territorio dove manca l’acqua e si coltivano nocciole

Articolo tratto da EXTRATERRESTRE – Il Manifesto di Marinella Correggia 21 Luglio 2022

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Con il suo rubinetto a forma di gallo dorato, la fontanella davanti al municipio di Gallese in Teverina disseta i passanti. Il comune è sede operativa del Biodistretto della via Amerina e delle Forre, al quale aderiscono tredici amministrazioni locali del viterbese, impegnati con diverse associazioni a costruire un futuro ecologico per il territorio, a partire dalle sue filiere agroalimentari. E una «programmazione con al centro l’acqua», in questa estate siccitosa che acuisce problemi cronici, viene invocata dal Biodistretto e dal suo presidente Famiano Crucianelli, mentre «l’acqua è sempre più scarsa, le falde sono povere e si sono abbassate, i ruscelli sono ridotti ai minimi termini».

Il RUSCELLO CHIAMATO Riomaggiore cammina lento sotto Gallese. Suggestivo, incuneato fra pareti di tufo, circondato da boschi e… minimo. «Le sue acque che partono dai Cimini, lungo il cammino incontrano le sorgenti Chiare Fontane, poco ad est di Centignano, il rio attraversa poi l’ Oasi di Corchiano, sotto Gallese diventa Riomaggiore e prima di sfociare nel Tevere diventa fosso di Rustica. Il rio alimentava un mulino dove anticamente si portava il grano. Adesso la cascata è ridotta al minimo», spiega il vicesindaco Amedoro Latini mentre cammina sui sassi del greto.

A POCA DISTANZA, ECCO IL FOSSO di Aliano: «Le sue sorgenti si trovano nel territorio di Vasanello. Dove un tempo si sentiva lo scrosciare della Cascata dei Frati e si percepiva la vita proveniente dalle sue acque, vi è ora un assordante silenzio… sono purtroppo numerosi gli attingimenti per alimentare i noccioleti lungo il percorso del fosso», prosegue. Va meglio al rio Fratta, un altro corso d’acqua di quell’area, la cui cascata è tuttora utilizzata per la produzione di energia, grazie all’acqua di falda che lo alimenta e è venuta meno.

IL BIODISTRETTO AVANZA PROPOSTE a istituzioni e organizzazioni sociali, chiedendo di costruire un progetto, di istituire una task force sull’uso e la tutela dell’acqua. Parte dai problemi: «L’irrigazione senza alcun criterio dei noccioleti, anche perché questi sono stati portati fin quasi in pianura e fuori dalle aree di vocazione naturale; i prelievi incontrollati di acqua dai pozzi e dai corsi d’acqua; l’inquinamento chimico da sversamenti nei corsi d’acqua». Su tutto campeggiano la siccità, «un dato ormai strutturale, insieme ai cambiamenti climatici» e la madre di tutti i problemi: una generalizzata diseducazione idrica, fra i tristi primati italiani.

«DA RICCHEZZA A PROBLEMA: è il nostro motto come Biodistretto. Il viterbese è diventato il principale polo della filiera corilicola, che qui occupa ormai 25.000 ettari. Ci hanno accusati di ideologia ecosocialista. Eppure chiediamo un modello agricolo adatto al presente e al futuro, capace di affrontare le emergenze e la crisi strutturale. In primo luogo, è essenziale non espandere ulteriormente i noccioleti in aree non vocate, aumentando il loro fabbisogno di acqua. Pensiamo poi al lago di Vico: mutare il sistema di produzione corilicola che lo assedia è fondamentale per recuperarlo alla potabilità», spiega Crucianelli.

INTANTO, PERCORRENDO CHILOMETRI nell’area di Gallese e Civita Castellana, ecco un susseguirsi chilometrico di piantagioni, anche nuove, «e queste antiche querce a bordo strada sono state tagliate per ricavare un po’ di spazio ulteriore. E le siepi, dove sono le siepi che sono un presidio di biodiversità e dovrebbero essere incoraggiate da agricoltori e istituzioni?». La biodiversità vegetale e animale, punto di incontro fra la bellezza del paesaggio e la difesa delle piante, è una grande vittima delle colture intensive.

UNA PARTITA STRATEGICA E’ la conversione al biologico: «I terreni ricchi di materia organica funzionano come spugne, trattengono l’acqua e la rilasciano secondo le necessità del terreno, senza inquinare quella che usano. Il territorio del Biodistretto non è distante dal 25% di biologico che è l’obiettivo europeo; se portassimo i noccioleti dal 10% al 25% sarebbe un salto di qualità; così, arrivare al 50% di superficie agricola utile (Sau) in pochi anni non sarebbe un sogno. Abbiamo già 200 aziende agricole bio nel territorio del biodistretto». Al biologico nella coltivazione del nocciolo si accompagna la possibilità di una trasformazione indipendente e locale. Spiegano sia il presidente del biodistretto che il vicesindaco: «L’agricoltura viene da sempre considerata una miniera, la manovale dell’industria, tu zappi e noi guadagniamo. Il valore aggiunto si concentra altrove». In altri luoghi e in altre mani.

PRODUTTORE DI NOCCIOLE BIOLOGICHE nell’area di Civita Castellana, su dolci rilievi collinari, Ovidio Profili della fattoria Lucciano conferma: «Certamente la coltivazione biologica permette di risparmiare molta acqua; anche il non diserbo, la pacciamatura evitano che il terreno si asciughi al sole, oltre ad arricchirlo di humus. Siamo certificati bio dal 1989, l’anno della legge regionale nel Lazio». Nessuna monocoltura: si producono diversi altri alimenti (compresa la crema al cacao). Vendita diretta in azienda o a Roma.

L’IRRIGAZIONE «INTELLIGENTE» è un precetto idrico: è vero che per coltivare occorre acqua – in Italia il 70% del consumo di acqua dolce, a livello mondiale oltre il 90%; ma, insiste Famiano Crucianelli «pensano che più acqua si dà meglio è; invece serve l’acqua giusta! Servono investimenti, il benedetto Pnrr dovrebbe aiutare. L’irrigazione intelligente è dotata di sensori che calcolano l’umidità e regolano quindi il sistema goccia a goccia. A Corchiano l’hanno sperimentata e funziona». In parallelo occorre anche un controllo sul prelievo delle acque (dei pozzi o di superficie), il monitoraggio del loro uso in agricoltura.

IN FONDO LA STESSA IRRIGAZIONE GOCCIA a goccia, se è un rigagnolo continuo ed è azionata per tutto il giorno, non aiuta più di tanto. I contatori previsti dalla legge non sono mai stati messi, per l’ennesima inadempienza istituzionale: «Occorre un passaggio tecnico in Regione. Che di questi tempi si consumi senza sapere quanto, è un controsenso», insiste Crucianelli.

INVASI PER L’ACQUA PIOVANA E LAVORO sulle acque reflue sono altre proposte del Biodistretto. Come? Crucianeli: «Trasformando le cave esaurite o abbandonate, che sono centinaia, in piccoli laghi per recuperare l’acqua piovana», che ora va persa. Anche la depurazione delle acque reflue rendendole compatibili con l’uso irriguo è da esplorare, con le cautele del caso.

DA UN’INDAGINE DI UTILITALIA (la Federazione che riunisce le Utility dei servizi pubblici di acqua, ambiente, energia elettrica e gas), presso i gestori del servizio idrico integrato, emerge che malgrado i periodi di siccità prolungata che minacciano di essere più frequenti, non si riutilizza il 95% delle acque reflue depurate. Il viterbese non fa eccezione, dice il presidente del Biodistretto: «Qui i depuratori sono usati male, quando ci sono! Le acque reflue sono un patrimonio riutilizzabile: è possibile l’uso irriguo delle acque chiare, e la produzione di compost dalle grigie». Ma occorre grande attenzione ai parametri e si pone poi il problema della distribuzione.

NEL DESERTICO SUD DELLA TUNISIA, in una situazione ben più estrema, come leggiamo sul bollettino dell’associazione Overseas, «si coltivano piante medicinali con l’irrigazione goccia a goccia proveniente da acque reflue domestiche depurate secondo un sistema che non richiede energia elettrica per funzionare»? E perché non qui?